INTERVISTA: Andrea Angiolino, il Gioco e la Storia

Andrea è un personaggio di spessore culturale enorme nel mondo dei giochi. Naturalmente non ho l’esperienza o la conoscenza al momento per tirare fuori tutto quello che la sua storia porta con sé, non conosco ancora nemmeno i suoi libri e le sue produzioni. Tuttavia, sentendo la sua intervista al Dado Incantato Podcast (qui e qui) sono rimasto davvero colpito dal sostrato culturale e metodologico che ha dimostrato di presentare. Così ho concepito questa intervista per dare modo, a qualcosa di tutto questo, di venire a galla.

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Andrea buongiorno e benvenuto su Le Parti e il Tutto. Presentati come persona e come professionista. Che tipo sei, quali ruoli svolgi, di cosa ti occupi.

Grazie dell’invito. Dunque… Romano, classe 1966, padre di famiglia. Giornalista e occasionalmente scrittore, soprattutto di raccontini fantastici. Sono anche un appassionato di giochi che ha avuto la fortuna di trasformarli in un mestiere. Ho fatto e faccio giochi di ogni tipo: in scatola, di ruolo, su rivista, online, per fiere e manifestazioni, radiotelevisivi… Inoltre scrivo e parlo di giochi e organizzo mostre ed eventi a tema ludico.

 

Preannuncio che al momento non conosco la tua enorme produzione, sono un giocatore giovane, quindi alcune domande potrebbero suonare ingenue o forse banali perché abbondantemente trattate altrove. Pensiamo però anche a lettori nuovi e giovani, che potrebbero ancora non sapere che esiste tutto questo. Quando, come e perché hai iniziato a  iniziato a occuparti di giochi?

Ho iniziato giocando da bambino – come tutti, credo. Con il gusto di adattare e magari anche inventare giochi da fare con mia sorella, i cugini, gli amici. Poi ho scoperto l’associazionismo, i club di wargame e gioco di ruolo, le fanzine. Nel 1982 ho conosciuto Sergio Masini, fondatore e anima del mensile Pergioco, che ha affidato a Gregory Alegi e a me la prima rubrica di giochi di ruolo in Italia: lì ho pubblicato i miei primi articoli retribuiti e da lì è venuta la mia tessera da giornalista pubblicista. Ma restava solo un hobby: non pensavo potesse diventare un lavoro a tempo pieno. Per questo mi sono iscritto a Economia e Commercio: materia che a ripensarci ha una forte affinità con l’ideazione di giochi, dal momento che serve a creare modelli semplificati per rappresentare le dinamiche della realtà… Un po’ quello che faccio quando creo un gioco ambientato. E quindi mi sono messo a studiare. Poi, però, tra un esame e l’altro ho conosciuto la C.UnS.A., Cooperativa Un Sacco Alternativa: un gruppo di autori professionisti, già noto per la simulazione Corteo. Con loro ho iniziato a creare giochi per gli inserti estivi di L’Espresso ed Epoca, giochi per radio e televisione, giochi promozionali e formativi per aziende e così via. Sono finito fuori corso, ma ho scoperto un mestiere.

Ai tempi il mercato italiano del gioco da tavolo era molto ristretto: le poche grandi aziende si basavano su creativi interni, più che sulle proposte degli autori. Oggi è diverso, con la globalizzazione degli ultimi vent’anni è diventato assai più facile anche per noi italiani fare giochi da tavolo venduti in tutto il mondo, con numeri interessanti anche per chi vuole farne una professione.

 

Secondo te cosa è un gioco? Perché come uomini siamo homini ludens?

Il gioco è un temporaneo distacco dalla realtà in cui si vive secondo regole particolari, concordate fra chi partecipa al gioco. Una parentesi dentro la quale ci si diverte, ci si ricrea, si sperimenta senza conseguenze sulla vita reale: finire in bancarotta a Monopoly non ci rovina l’esistenza, così come sbaragliate gli avversari a Risiko! non ci dà il dominio del mondo. Ma il tempo del gioco non è ozio sprecato, come hanno sostenuto in passato molti benpensanti: ci ricreiamo, alleniamo molte nostre capacità e trascorriamo egregiamente il tempo in compagnia di familiari e amici, o anche di perfetti sconosciuti che spesso smettono di esserlo proprio perché ci si è giocato assieme.

Anche gli animali giocano, in effetti, ma nessuno ha raggiunto le vette di raffinatezza dell’uomo nel settore ludico. Almeno a quel che ci risulta. L’uomo è homo ludens perché si diverte, ma anche perché ama la sfida, la sperimentazione, la creatività. Nel gioco trova tutto questo, con piacevolezza e senza rischi.

 

Il Novecento e il Duemila sono stati secondo te i secoli che hanno sdoganato il gioco come espressione e bisogno di tutti gli uomini? Dal “giuoco del calcio” e delle sale giochi all’ormai inarrestabile business del videogame, si è scoperto che giocare non è attività dei bambini ma bisogno di tutti – e se ne è fatto giustamente un business come è avvenuto soprattutto nel ‘900 con la narrativa – tra libri, tv, cinema, che l’hanno portata veramente a tutti.

Questi ultimi due secoli sono stati importanti per il gioco diciamo commerciale: si è affermato il gioco in scatola come prodotto industriale, anche con il suo aspetto positivo e di qualità del gioco d’autore. Ma l’uomo resta giocatore anche con poco e niente. C’è una continuità nella storia ludica. I bambini giocano al ricco Subbuteo come anni fa giocavano a calcio con tappi a corona e una pallina di carta. Giocano a biglie agli stessi giochi che duemila anni fa si facevano con le noci, e poi nei secoli con palle di archibugio o sfere di cuscinetti da camion. Stessa cosa per gli adulti: è vero che hanno comprato trecento milioni di copie del Monopoly, negli ultimi ottant’anni, ma i giochi da tavolo hanno quasi cinque millenni di età. Si giocavano con materiali di lusso ma anche incidendo tavolieri dove capitava nel momento in cui la voglia di giocare si faceva più forte: monumenti e siti archeologici ne abbondano. L’uomo ha sempre giocato, sfruttando tutto quello che gli capitava a portata di mano: e come in passato si è giocato molto con semi, monete, sassolini, così il Novecento è anche il secolo dei giochi con carta e matita fatti dagli scolaretti sotto il banco. Dei giochi per computer praticati sui grandi e costosissimi computer mainframe, le prime colossali macchine da calcolo decenni prima dell’home computer e degli smartphone: giochi che sono serviti anche a sperimentare l’intelligenza artificiale. Certo la commercializzazione del gioco ha portato un nuovo impulso, nuova diffusione. Anche se a volte con punte ridicole: come quando si propongono costose scatole con i materiali per giocare a fiori frutti e città, a un due tre stella, al gioco della bottiglia…

Hai ragione comunque sul fatto che il Novecento ha dato un bel colpo ai pregiudizi sui giochi dei grandi. I giocatori adulti hanno sempre fronteggiato una certa ostilità verso il gioco spesso considerato un’oziosa perdita di tempo, un trastullo per sciocchi, quando non addirittura la soglia verso i pericoli del gioco d’azzardo. Gli antichi giocavano, e l’uomo ha poi continuato a giocare nelle osterie, nelle veglie invernali delle comunità contadine, nelle corti medievali e rinascimentali, ma non certo con l’appoggio delle autorità, soprattutto religiose. Oggi il valore ricreativo, formativo, istruttivo, socializzante del gioco anche adulto mi pare ormai prevalentemente riconosciuto.

 

Parliamo di te; nel citato podcast del Dado Incantato racconti tanto di storia. A differenza di noi appassionati giocatori da tavolo, molto coinvolti dai discorsi sulle meccaniche e al più sulla storia e l’ambientazione nel caso dei giochi di simulazione, in te ho trovato una doppia lettura sorprendente: la storia nel gioco (a un livello ineguagliato quando parli di come un tuo mazzo di carte per una miniatura sia pensato per modellare la manovrabilità di un aereo reale) MA ANCHE il gioco nella storia, come pochi altri saprebbero trattare. Storia nel gioco e gioco nella storia; per favore, approfondiscici un po’ questo tema.

Io amo giochi di tutti i generi, anche quelli astratti. Fra quelli ambientati, apprezzo anche quelli che propongono situazioni fantastiche. Però le ambientazioni storiche hanno a mio parere un fascino particolare, quando sono curate a dovere. Forse perché sono la riproduzione in miniatura di un mondo reale: hanno quindi ai miei occhi la stessa magia di modellini, plastici e diorami, anche se riproducono le dinamiche degli eventi passati più che il loro aspetto estetico. E al tempo stesso sono interattivi: una buona simulazione storica non è dolo una macchina del tempo che mi consente di osservare epoche diverse dalla nostra, ma anche di viverci, di interagire con gli eventi storici e di vedere “cosa sarebbe successo se” condottieri, statisti, grandi personaggi, eserciti e popoli si fossero comportati in maniera diversa da come hanno fatto.

D’altro canto i giochi, come molti aspetti della cultura materiale, sono un elemento attraverso cui si può leggere la storia di chi ci ha giocato. Se guardo come funzionano gli scacchi vichinghi, con un re in fuga contro un’orda all’attacco, percepisco un’immagine di una guerra di scorrerie, ben diversa dalle battaglie campali evocate dagli scacchi classici giocati nel resto d’Europa. Se guardando un gioco dell’oca del 1936 sulla guerra d’Etiopia mi accorgo che la casella dell’ospedale fa tornare alla partenza, ed è quindi molto negativa mentre mi attenderei il contrario da un’icona che evoca salute e guarigione, ho un riscontro immediato dell’immagine che il regime fascista voleva dare della Croce Rossa, accusata di aiutare anche con armi l’esercito nemico. Nella storia del Monopoly che nasce come strumento di critica al capitalismo e poi ne diventa il simbolo si specchia un po’ tutta la storia del Novecento. E poi la storia dei giochi, della loro nascita ed evoluzione, dei loro inventori arrivati caparbiamente al successo o scippati ingiustamente delle loro idee, sono molto interessanti di per sé. Per questo mi appassiono a raccontarle. Alcune sembrano veri e propri romanzi.

 

Sentirti parlare a Wikiradio – Storie di Giochi (qui la geeklist) fa trasparire un occhio a dir poco lucido e appassionato nei confronti della storia. Di formazione sei giornalista se non erro, e non nascondo di ammirare molto il taglio estremamente documentato ma concreto che sai avere. Come nasce e come si sviluppa il tuo rapporto con la storia?

Non è altro che una passione giovanile che ho poi coltivato, proprio come quella del gioco. Anzi, le due si sono aiutate: non ho solo letto libri e fumetti, visto film, visitato luoghi storici e musei ma ho anche “vissuto” per gioco tanti eventi storici. Ho perfino studiato per rendere i miei giochi migliori, per giocare meglio e per migliorare le regole. Con qualche conseguenza sul piano professionale, avendo poi prodotto molti giochi da tavolo, giochi di ruolo e libri-gioco storici. E non solo in campo ludico: mi ha divertito scrivere la storia della penna biro in sessanta faticosi fascicoli, ad esempio. E fondare con l’amico Gregory un’Associazione Archeologia Aeronautica poi diventata G.A.V.S., Gruppo Amici Velivoli Storici: un’organizzazione tuttora impegnata nel recupero e nel restauro di aerei d’epoca.

 

Ora faccio un passo sul piano personale. Al liceo, la storia mnemonica fondata su date, dinastie e sequenze l’ho trovata sempre pesante e ostica da imparare, scarseggiando di capacità immaginifica (mi sono riaccostato alla storia di recente, come ricerca più adulta, e ho sentito molto chiaramente come mai quel sistema non riuscisse a fare presa su di me). Col gioco è diverso; anche quando parliamo di un eurogame piuttosto astratto ci sono piccole meccaniche che possono avere grande impatto e efficacia nel far capire le dinamiche, nel far capire cosa si deve far prima per poter fare poi (ossia sequenzializzazione, esercizio di progettualità se vogliamo). Ne consegue che i giochi apertamente storici o simulativi/addestrativi  sono anche miniere di comprensione e ricalco della realtà. Mi viene da pensare che per quanto la community di giocatori oggi tenda a concentrarsi sulle meccaniche e le critiche da appassionati a questo o quel gioco, passi un poco in secondo piano un altro punto forse prioritario che è quello delle dinamiche. Un gioco si basa su meccaniche per creare determinate dinamiche tra i giocatori: e la storia è fatta di dinamiche.

Questo è molto vero. E i giochi storici sono particolarmente interessanti, a mio parere, quando hanno uno spirito simulativo: quando cioè le dinamiche del gioco ricalcano quelle del mondo reale e le scelte dei giocatori sono analoghe a quelle che devono affrontare i veri protagonisti della situazione raffigurata. Esplorare più territorio possibile o consolidare prima gli insediamenti appena fondati? Cercare di superare l’auriga avversario spronando i cavalli o lanciargli una manciata di sabbia negli occhi? Mandare la cavalleria nella pianura sotto il tiro delle artiglierie o farle attraversare il bosco rischiando che si disordini? Le regole e le meccaniche dovrebbero simulare i rapporti di causa-effetto del mondo reale. I giocatori, una scelta dopo l’altra, dovrebbero riprodurre le dinamiche dell’evento storico dipanandolo in uno dei suoi possibili sviluppi, uno dei tanti “come poteva andare”. E così il gioco racconta una storia. E al tempo stesso racconta la Storia.

Ovviamente, con lo stesso sistema si può raccontare nel gioco una situazione attuale: per addestrare qualcuno, per sensibilizzarlo, per stimolarlo a risolvere problemi reali. Su questo si può lavorare molto.

 

Una maggior consapevolezza delle potenzialità del gioco (e di strumenti che mutuano dal gioco) nella vita oggi; chiamiamola alfabetizzazione ludica. Che ne pensi Andrea, avendo vissuto davvero l’esplosione del gioco nella società su vari livelli (libri, scatole, programmi, software, riviste)? Passando sia per il discorso “maggior diffusione dei giochi e videogiochi” sia considerando la gamification presente nel marketing o il bisogno di personalizzazione dell’individuo nella grandissima massa del 2020 (dove viviamo tutti in modo simile comprando cose simili, che cerchiamo poi di personalizzare e rendere uniche)… siamo tutti a contatto col gioco, sempre – e questo un po’ ci trasformerà; ci potrà però essere una formale alfabetizzazione alla ludicità e alle sue potenzialità?

Io spero proprio di sì, anche ben al di là della gamification proposta dal marketing che è solitamente ben poca cosa rispetto alle mille potenzialità del gioco. Negli anni mi è capitato di creare giochi per i fini più diversi: sensibilizzare i ragazzini al riciclo della plastica, spiegare i problemi della globalizzazione e del commercio equo e solidale, animare visite a musei di mineralogia, far capire che il protezionismo dell’auto ha poco senso quando esse vengono prodotte in tanti paesi, lanciare la nuova Twingo, spingere i ragazzi a visitare la banca dati per l’orientamento lavorativo della Regione Lazio, promuovere l’attività della Polizia Scientifica, addestrare gli informatori medici scientifici di una multinazionale del farmaco… E tanti altri ancora. Giochi da tavolo, su riviste e libri, su computer, per stand in fiere, in libretti di programmi teatrali, su tovaglie di carta per pub, in pagine pubblicitarie su rotocalchi… Che il gioco sia un potentissimo strumento di divulgazione, educazione, promozione è indubbio e queste esperienze me l’hanno confermato.

Quello che noto, però, è che il gioco viene spesso sottovalutato anche da chi decide di utilizzarlo. Un ente o un’agenzia pubblicitaria non affiderebbero mai la regia di uno spot a qualcuno solo perché è bravino con la telecamera e magari ha fatto un paio di filmati ai matrimoni: cercano registi professionisti. Con il gioco, invece, spesso non si affidano a un autore professionista ma al primo che capita, a qualcuno che magari nel tempo libero giochicchia. Forse perché nemmeno sanno che il mondo del gioco ha delle professionalità. E così escono giochi promozionali, pubblicitari, formativi su cui si è investito molto in termini di soldi ma che alla fine sono banali cloni del gioco dell’oca o dei Trivial Pursuit con assai meno longevità. Occasioni sprecate, subito messe via da chi li riceve. Quando invece sarebbe possibile creare giochi che al centro delle loro meccaniche fondanti, delle loro dinamiche, abbiano i contenuti che il committente del gioco vuole trasmettere. Potrei dire che di alfabetizzazione attraverso il gioco se ne fa, ma di alfabetizzazione al gioco ne servirebbe ancora parecchia. Per far capire cosa sono i giochi, come si creano, come si usano con la massima efficacia. E per far salire di livello l’alfabetizzazione attraverso il gioco, al giorno d’oggi spesso malamente improvvisata.

 

Quali sono, per le tue conoscenze e i tuoi criteri, alcuni esempi virtuosi di uso del gioco? Sia in campo hobbystico, didattico, pubblicitario/sociale. Indicaci qualche finestra interessante e significativa sul mondo lì fuori che magari non abbiamo neppure mai sentito.

In effetti il problema è proprio quello: anche io rischio di non saperne nulla, dato che i giochi realizzati non per il mercato ludico ma per scopi particolari raggiungono settori spesso mirati di pubblico e non necessariamente vengono a conoscenza degli appassionati o degli addetti ai lavori. Mi ha colpito molto Senio 1945, gioco di ruolo di Gabriele Mari realizzato dal Sistema Museale Provinciale di Ravenna: consente di
rivivere in prima persona la quotidianità dell’Italia occupata e della Guerra di Liberazione. Notevoli anche gli utilizzi della giocosimulazione da parte della professoressa Paola Rizzi per la sensibilizzazione della cittadinanza sulle problematiche delle catastrofi ambientali e del corretto comportamento da tenere. E l’uso del gioco che la stessa professoressa Rizzi ha fatto per coinvolgere i bambini di Novi di Modena, oltre che di alcuni architetti ambientali, nella riprogettazione partecipata del parco di una scuola elementare dopo il terremoto.

 

A quali lavori ti dedicherai prossimamente?

Sto ultimando diversi prodotti in uscita. Innanzi tutto sto dando gli ultimi ritocchi a Tripods & Triplanes (Ares Games), un’espansione di Wings of Glory che mette assieme gli assi della prima guerra mondiale e l’invasione marziana della Guerra dei Mondi di H.G.Wells. Il Kickstarter è andato molto bene, l’anno scorso, e ora con i coautori Maggi e Nepitello sto rifinendo alcune regole aggiuntive promesse durante la campagna di crowdfunding.

Con Andrea Mainini sto anche sviluppando Battlestar Galactica Starship Battles, un gioco di miniature sempre per Ares Games tratto dalla bellissima serie televisiva di fantascienza del decennio scorso. Chiusi per la stampa scatole base e primi pacchetti di espansione, stiamo ora lavorando sulle espansioni successive.

Non cessa il lavoro su Wings of Glory e Sails of Glory, due titoli che ormai hanno raggiunto il milione di pezzi venduti fra scatole e accessori: la domanda dei fan è incessante e cercheremo di soddisfarla con un set di regole di campagna per la Grande Guerra, bombardieri per la Battaglia d’Inghilterra, l’aerosilurante italiano S.79 “Gobbo Maledetto”, un nuovo set base per il fronte del Pacifico con i più noti apparecchi di quel settore, galeoni pirata, un set di comandanti famosi e abilità dell’equipaggio per i velieri napoleonici, i palloni frenati del 1915/18, varie ristampe lungamente attese di aerei precedentemente pubblicati per Wings of War e tanto altro ancora.

Sto aiutando a lanciare una nuova casa editrice, Quality Game. Il primo prodotto sarà la seconda edizione del gioco di ruolo Lex Arcana, che verrà proposto su Kickstarter il 18 settembre sia in italiano che in inglese: sto seguendo il lavoro di rinnovo delle regole da parte degli autori originali. Con Francesca Garello avevamo a suo tempo pubblicato l’espansione sull’Italia: mi piacerebbe riprendere anche quella, ampliandola e rivedendola.

È appena uscito il libro Ai bambini basta niente per giocare (Gallucci). Raccoglie 62 giochi che si possono fare senza materiali, in ogni circostanza: alcuni tradizionali e altri meno noti. Alcuni sono anche adatti ad adulti che abbiano uno spirito giocoso. Sempre con Gallucci vorrei dare un seguito a Storie di giochi, un libro uscito l’anno scorso e che ha avuto buone recensioni: vorrei farne un altro sulla storia di altri oggetti ludici, non solo giochi in senso stretto. E mi piacerebbe anche dare un seguito a Giochiamo insieme con carta e matita, edizioni Sonda, raccogliendo altri regolamenti di giochi con carta e penna. Nel frattempo sto valutando di ripubblicare alcuni dei miei vecchi libri-gioco, visto che il periodo è propizio, ed è appena una riedizione della mia antologia di racconti fantasy Cuore di Drago (ed. Homo Scrivens). Non mi spiacerebbe scrivere qualche altro raccontino, in effetti: faccio parte del collettivo della Carboneria Letteraria e qualche nuova antologia bolle in pentola, vediamo se verrà l’ispirazione.

Per Wikiradio è andata da poco in onda la puntata del 23 agosto sulla storia di Dungeons & Dragons e sto preparando una puntata sul Mah-jongg prevista per il 25 settembre. Per Rai 4 sto collaborando a un gioco televisivo fra classi scolastiche, un’iniziativa ancora da annunciare. Sto per pubblicare un mio articolo su La Lettura, settimanale del Corriere  della Sera: il 23 settembre racconto la vita di Bonvi e la storia delle sue Sturmtruppen. Inoltre, ogni giovedì pubblico un giochino a tema su Origami, un settimanale del gruppo La Stampa: è appena uscito un numero di metà agosto più giocoso degli altri, con alcuni giochi da tavolo all’interno. La collaborazione con il bimestrale Io Gioco continua con piacere, un articolo a numero. Inoltre sto facendo alcuni libri per la didattica che prevedono attività giocose in classe, su vari temi… Ma quelli verranno distribuite da enti e aziende, non saranno disponibili al pubblico.

Poi certo, nel cassetto ci sono idee per giochi da tavolo nuovi, altri libri e altre iniziative. Vedremo cosa si riuscirà davvero a concretizzare… Il tempo da dedicare a tutto questo non è infinito!

 

Ringrazio moltissimo Andrea per essersi prestato a condividere queste riflessioni. Come avete visto i lavori di Andrea Angiolino non si contano (non posso che segnalare il Dizionario dei Giochi ma troverete molto altro tra le sue opere), suggerendo l’ascolto della puntata dedicata ad Alex Randolph, autore di giochi ma anche spirito artistico e intellettuale vivace.

Forse proprio questo costituisce un sostrato comune a tutti noi appassionati e curiosi di giochi; la vivacità intellettuale – di cui Andrea rappresenta un esempio attivo e operativo. 

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DISCLAIMER FINALE

Questa intervista chiude l’attuale percorso di Le Parti e il Tutto. Il blog ha voluto essere e provato ad essere una finestra sulla riflessione verso il mondo del gioco. Appassionata e entusiastica, senz’altro, ma anche seria e fatta cercando di dare il meglio.

Le analisi di giochi, gli spunti trasversali e le interviste hanno provato a collocarsi a un altissimo livello di dignità nell’osservare il mondo ludico. Fondamentalmente proprio la vivacità intellettuale costituisce il terreno fertile di queste riflessioni, che si nutrono e che vogliono nutrire proprio tale vivacità dai lettori e ai lettori.

Per quanto la cosa non sia affermata culturalmente, non ho alcun dubbio che anche il gioco possa essere forma d’arte, degna quindi di essere osservata in maniera adulta e approfondita – e dal momento in cui non ho visto in forma coesa intorno al gioco di società tale lettura ho provato, lungo questo percorso, a porci un mio mattone.

Ringrazio tutti voi per aver seguito questo diario/percorso, se lo avete fatto, con l’augurio che vi sia stato utile – e di ispirazione.

Come accade di frequente, un progetto pure in crescita può dover essere messo in discussione di fronte a nuove limitazioni (in questo caso le mie energie, che dovranno convergere nell’aprire nuove porte). La soddisfazione è quella di aver fatto qualcosa di buono, qualcosa di apprezzato da alcuni (più di qualcuno? boh…) e di averlo portato a crescere fin dove poteva crescere.

Lascio la palla ai prossimi tiratori, che porteranno ancora altri contenuti e idee.

DADO-MIO

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