Critica: Oh My Goods – Longsdale in Rivolta

Volevo togliermi il piacere di scrivere di questo gioco, nei confronti del quale sono un po’ bipolare. Ho giocato Oh my goods! con un certo piacere, un gestionale condensato con grafica simpatica, durata contenuta, uno sfizioso sistema di filiera produttiva delle merci (in seguito ho scoperto come questo fosse mutuato da Le Havre di Rosenberg) e un po’ di fortuna, che in un gioco filler non stona alla fine.

I problemi del gioco base, come noto, sono due, e Longsdale in Rivolta si presentava come il fix a entrambi. Ebbene, i problemi iniziali sono stati risolti, e se ne sono presentati di nuovi.

QUESTIONE OH MY GOODS!

Ho parlato qui del gioco base: non un capolavoro ma piacevole, con quel che costa (però da giocare in 2, più veloce). I problemi iniziali erano l’ergonomia; le carte iniziano a scarseggiare quando si produce tanto, specie in più di due giocatori, proprio perché le stesse carte edificio si usano per contare le merci. In una sciagurata partita a 4, ci siamo trovati che tra edifici e merci prodotte si aveva al tavolo solo un mazzettino che ricircolava in continuazione – ammazzando così del tutto alcune catene produttive perché i colori richiesti dalle produzioni erano bloccati come merci.

Il secondo problema è la pesante strategia dominante; rushare per costruire i primi otto edifici più economici che si hanno, pure sconnessi. Tale stortura comporta che chi lavora tentando catene produttive non avrà il tempo di farle valere, rendendo inutile puntare sul lungo periodo.

Oh My Goods così com’è difetta, è inutile girarci attorno. Eppure, la sua espansione e le varianti (non poche) proposte su BGG dimostrano che anche molti altri ogni tanto una partitina a questo OMG la farebbero, specie se si riuscisse a levigare questa struttura barcollante.

Riporto alcune proposte correttive lette qua e là.

  • alzare la corsa a 10 edifici, dando più tempo per produrre a chi investe a lungo termine nelle catene
  • usare dei dadi per segnare le merci, così da mantenere sempre in circolo le carte e mantenere le proporzioni tra i colori disponibili (ad esempio si sa che su molte carte una nera può uscire.)
  • variare il mulligan (ripescaggio) di inizio turno permettendo di scartare tutte o parte delle proprie carte in mano e sostituirle
  • introdurre un supporto di draft con questa piccola e intelligente aggiunta

Vero che un gioco che richieda tutte queste correzioni è da guardare criticamente. Però proprio il continuo proporne dimostra che molti giocatori ci tengono e hanno ricevuto qualcosa da questo titolo – e questo in fondo è ciò che conta, ossia il riuscire a trasmettere ai giocatori.

LONGSDALE

Longsdale ci offre una espansione a scenari: ad ogni scenario introdurremo nuove carte (di solito nella forma di pile separate a cui attingere) e procedendo lungo la storia aggiungeremo le pile dei precedenti capitoli al mazzo di pesca. Così facendo, tematicamente, si ha memoria dei progressi produttivi raggiunti nei capitoli precedenti.

Le pile e le carte extra sono codificate per poter ripristinare in qualsiasi momento ogni capitolo, rendendo Longsdale in Rivolta un ciclo di cinque scenari piuttosto compatto e rigiocabile.

Rispetto ai difetti del gioco base Longsdale interviene in due modi: sul piano di scarsità delle carte, introduce semplicemente delle carte 5x da usare per contare la produzione – senza così rimuovere troppe carte dal mazzo centrale.

Rispetto alla strategia dominante il gioco sposta abilmente il focus. Ora la partita è a turni fissi, entro i quali dovrete produrre un tot di punti in generale e una certa quantità di altre risorse, a seconda della leggera (ma gradevole) storia. Non escludo che introdurre turni fissi (9,10,12..) possa essere una variante utile anche al gioco base.

Ma anche con Longsdale ho avuto questa sensazione schizofrenica di gioco con pesantissime storture da una parte e un gradevole “volerlo rigiocare” (preferibilmente se migliorato) dall’altra. Vediamo cosa è successo.

Lo scenario tipo del gioco ci chiede, nell’arco di 9 round scanditi da alcune carte evento che ci danno piccoli bonus, di correre per abbondanti(ssime) produzioni di punti vittoria, merci specifiche e forza militare (i pugni). Ad esempio, se c’è carestia ci verrà chiesto di produrre 30 monete di cibo, dove cibo è tutto ciò che è carne, pane, frutta prodotti da varie classi di edifici. Se siamo sotto invasione esterna dovremo produrre acciaio, armi, forza militare ecc.

Il turno si svolge praticamente come il gioco base con delle modifiche; abbiamo alcune pile separate di edifici disponibili per l’acquisto e in alcuni casi viene modificata una fase di gioco – come spiegato dallo scenario. Nel corso della campagna avremo anche alcuni bivi che determineranno gli sviluppi della piacevole storia. Proseguendo negli scenari aggiungeremo al mazzo sia le carte personaggio sbloccate (che quando pescate ci forniscono ricchi bonus) sia le pile di carte edificio che erano separate nei precedenti scenari. Inoltre il mazzetto dei 9 eventi che scandiscono la partita viene preparato ad hoc ad ogni scenario.

La pensata è davvero semplice, davvero piacevole per un tascabile che così facendo arriva ad avere quel pizzico di ampio respiro che lo rende molto intrigante.

E QUI INIZIANO I PROBLEMI

Oh my goods!, com’è noto, prevede e concepisce un certo elemento di gestione del rischio e di push your luck. Questo punto è cruciale: di solito il gestione risorse è un gioco da controllo e pianificazione – mentre qui a volte per produrre di più si rischia di produrre zero. Da qui la filosofia può diventare “gioca in modo da minimizzare il rischio”. E’ una osservazione matura e pertinente, che si può adattare benissimo al fare varianti e house rule sul gioco base.

Il problema con Longsdale nasce nei traguardi altissimi che vi impone. Che cosa accade: gli obiettivi di scenario vi chiedono di fare parecchie monete in cibi, per le quali sarà necessario focalizzarsi sulla miglior filiera produttiva di quella merce (esempio: grano, farina, pane, cibarie) e spingerla a fondo tantissimo. Ma contemporaneamente dovrete fare anche tanti punti – tra merci e edifici costruiti – che costituiranno sforzi in direzioni differenti.

Ok, la strada ottenuta è quella per un gestionale tiratissimo e dalla coperta corta in cui spremere ogni azione fino al succo (e questo è un bel plus), ma vi troverete delle contraddizioni; a volte farete bei punti ma mancherete delle merci. Altre volte, che è peggio, centrerete la produzione ma mancheranno i punti grezzi (edifici) proprio perché pur di produrre merci e rafforzare la filiera avete rinunciato a costruire qualcosa in più.

Questa premessa per dire che il gioco è difficile, difficilissimo. Non nel senso che “lo vince chi è bravo”, ma “lo vinci se hai capito che strada seguire e non ti esce una pescata storta”. E pescate storte sono mancare l’attivazione di un edificio della filiera, sbagliare a piazzare un lavoratore, vedersi uscire assistenti inutili in quella partita, veder sprecati i personaggi. Ce ne sono proprio tante.

In una riga: il gioco prevede degli script da seguire, al di là dei quali è tutto in mano alle carte. Voi non avete timone e strumenti di controllo per gestire traguardi così alti (e questo causa frustrazione e casualità cieca) – oppure il gioco dovrebbe proporre traguardi più modesti (in modo da ridurre l’importanza del caso e permettere al giocatore più adattamento alla circostanza). Invece Longsdale si colloca proprio in bilico tra le due filosofie, mantenendo una incongruenza di fondo.

Se non vi entrano gli edifici giusti della filiera, nel giusto ordine e al momento giusto siete fuori. Ipotizziamo di giocare sulla filiera cibo; mi è capitato di iniziare il gioco con l’edificio finale e per tre round non avere quello base. Non puoi, matematicamente, vincere, è inutile che giochi.

Se ti arriva l’edificio base, ti arrivano subito il terzo e quarto edificio ma non ti arriva il secondo, hai perso. Non hai il tempo di mettere la terza marcia prima di passare alla 4a e 5a. Con questa struttura stai giocando a un gioco dove se non ti esce una precisa serie di carte non puoi competere.

Che modi hai per gestire la variazione di carte? Solo lo scarto di inizio turno. Dove se io, per assicurarmi la produzione necessaria alla mia filiera, ho bisogno di 2 carte Bianche in mano e ne ho una sola mi trovo in braccio al caso. Scarto la mano con una carta poco comune sperando di trovarne due? O resto appeso a vedere cosa offre il mercato, piazzandomi modo disordinato pur di sperare di produrre qualcosa? (e verosimilmente potrò non produrre nulla e quindi buttare la partita?).

Sottolineo che saltando una produzione della filiera non ricordo di aver vinto – magari ci sono arrivato poco sotto. Di sicuro quando ho vinto non ho mai visto un edificio perdere un turno. Praticamente o fate il perfect o niente, ma, ribadisco, con pochi strumenti per arginare la casualità che vi fa produrre o meno.

Generalmente siete in balia del:

  • dover pescare gli edifici della vostra filiera, nell’ordine giusto, abbastanza presto (nessun controllo su questo, avete solo il mulligan di inizio turno)
  • dover attivare gli edifici necessari usando solo la mano e il mercato, senza ripieghi (e quando su dieci carte non vi escono due sole verdi, o una sola rossa, non potete fare nulla; deve bastarvi la mano e il mulligan per valutare come piazzare)
  • dover avere gli assistenti giusti disponibili. Se in uno scenario sulla filiera gialla del cibo vi escono gli assistenti che richiedono colori che non vi riguardano, giocate zoppi. Costruire un edificio subottimale per riuscire a prendere, magari troppo tardi, un assistente? A che pro? Ricordiamolo, ogni round la filiera deve lavorare, perché voi possiate vincere. (Anche su questo nessun controllo. Gli assistenti escono a caso e sono solo quelli per tutta la partita; se escono sbagliati vi trovate con un aut-aut. O assistenti senza filiera spinta al massimo o filiera ma senza assistenti per farla lavorare.) Questo aspetto mi sembra una delle storture più palesi a livello di design.

Oltre al discorso filiera c’è il discorso punteggio grezzo; i primi scenari danno sottoquest che aiutano a alzare il punteggio, ma gli ultimi due scenari NON danno questi aiuti. E’ tutto produzione e forza bruta, per cui dipendete dall’efficacia della vostra filiera, al 150% (e ritorniamo ai 3 punti incontrollabili appena detti). La vostra filiera serve oltre che per la quest anche per alzare il punteggio grezzo costruendo edifici.

Poca controllabilità con l’aggiunta di aver zero strade alternative in caso di vacche magre. Un difetto molto molto grande. Poteva essere pure tralasciato se magari in due tre partite si riuscisse a superare lo scenario ma qui ce ne vogliono anche una decina o più, quindi parliamo di qualche ora complessiva per ciascuno.

Tant’è che a un certo punto, per snellire, ho iniziato a modificare il gioco.

PROPOSTE PER AVERE PIU’ CONTROLLO

  • riprendere il mulligan totale o parziale proposto già per il base. A inizio turno puoi scartare tutte o alcune carte dalla mano e ripescare altrettanto.
  • riprendere la variante warehouse linkata anche sopra, che fa draftare sia le carte di pesca che un magazzino di carte extra spendibili per spingere la produzione
  • 2x dei personaggi; i personaggi funzionano solo quando pescati a inizio turno. Quindi se escono durante alba, tramonto o altre cose (come il warehouse proposto) sono carte inutili. Considerato ciò, introdurre UNA carta personaggio che sia di aiuto in un mazzo che, negli scenari 4 e 5 conta quasi 200 carte, è follia (per dirla con un amico: “tu vuoi le botte.”). Se negli LCG le carte in un mazzo di 40/60 carte prevedono triplici/quadruplici copie, ci sarà un motivo? Io ho deliberatamente simulato una seconda copia di ciascun personaggio usando edifici superflui: e, negli scenari 4 e 5, spesso quei personaggi non li riuscivo a usare comunque.
  • solo assistenti appropriati in gioco: gli altri (da 4 edifici o 3 con colori stonati) sono totalmente inutili, ed equivalgono all’uscita di una carta “no assistant available”. Contraddittorio in scenari che prevedono necessariamente di costruire 4/5 edifici e farli funzionare in sintonia.
  • rifiuto della fase tramonto: scartando una carta dalla mano (e dunque riducendo di uno le carte da spendere in mulligan nel prossimo inizio turno) poter dare via tutta la sequenza di carte tramonto e sostituirla una volta sola, così da evitare quei mercati estremamente bloccanti. Questa variante non andrebbe combinata col mulligan parziale, altrimenti le cose possono diventare troppo facili. Diciamo mulligan parziale se cercate più controllo, rifiuto del tramonto se un po’ di brivido dell’ignoto vi sconfinfera (termine tecnico di design)
  • draft nel mercato. Una volta nella fase Alba e una volta nella fase Tramonto, al momento di pescare la nuova carte, potete pescarne 3 e piazzarne nella fila una a vostra scelta, scartando le restanti. Si presuppone che essendovi aiutati con sconti dati dalle carte nere e dalle Torri di Guardia questo possa portarvi a un certo controllo sulla vostra produttività.

Come già detto, un gioco da ritoccare così tanto decisamente non è un modello. Tuttavia ammetto che non l’ho venduto, avendo da sempre l’idea che se ritoccato a dovere possa essere un gestionale filler interessante e piacevole, sia nel base che con la sua apprezzabile (negli intenti) espansione.

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